Fare Voce è Fare Anima | Giugno
Minimalismo e competenza, i valori che ci portano nella voce e altre tendenze alla relazione nell'audio
I percorsi sulla voce vivono di luoghi comuni: dalle acciughe salate prima di cantare, al cicchetto scalda-corde, fino all’idea che studiare dizione ti renderà impostata/o/ə nel modo di parlare.
I luoghi comuni sono, appunto, comuni a tutti, specie negli ambiti di competenza che non ci appartengono; ecco perché ti parlo di come funzionano i percorsi vocali: per smontarne i pregiudizi e darti modo di avvicinarti alla tua voce.
Quando si lavora sulla voce non ci si sovrastruttura: ci si spoglia.
Spogliare la Voce
Si fa voce da quando si nasce, quindi ci si abitua a usare la voce in un certo modo che è naturale ma non necessariamente funzionale o economico.
Economia è una parola importante quando parliamo di voce perché il binomio respirazione-emissione vocale interessa un gran dispendio energetico, a livello fisico e mentale.
Immagina di avere accumulato nell’armadio i vestiti di tutta la tua vita; non li ricordi tutti, hai problemi di spazio, quando apri le ante non li vedi nemmeno tutti e, soprattutto, fatichi ad abbinarli. Cosa fai? Prendi una giornata di ferie, una bottiglia di vino, un film della tua infanzia in sottofondo e svuoti l’armadio, riordini i capi per tipo, butti quelli che non ti servono e li riorganizzi. Magari conservi qualche capo per ricordo, qualcuno perché torna sempre utile ma, alla fine della giornata hai un armadio ordinato, con spazio da poter usare e le idee molto più chiare sullo stile che vorrai avere negli abbinamenti.
In un percorso vocale funziona esattamente così.
Svuoti la voce da abitudini errate e costrizioni accumulate, riorganizzi il modo in cui parli e leggi e fai spazio a nuovi modi di conoscerti attraverso il suono.
Non si tratta di diventare qualcosa di diverso da ciò che già sai, quanto più di liberare ciò che sei davvero.
Nell’ultimo numero del mail magazine di Mettiamoci la Voce, ho parlato di una ricerca dell’UCLA in cui si osserva come la gamma di frequenze del parlato spontaneo, seppur simile, si arricchisca rispetto a quella del narrato.
Cosa significa questo che quando siamo naturalmente nella fonazione, siamo estremamente musicali, mentre di fronte ad un testo scritto (nella media del campione della ricerca) limitiamo il nostro suono a ciò che pensiamo sia più utile, oppure lo blocchiamo a causa di eventuali paure della performance.
Significa anche che, a dispetto di quanto pensano molte persone, siamo tutti musicali e tutti dotati di splendidi strumenti fonatori naturali. Dobbiamo solo imparare a fidarci della voce e, per farlo, dobbiamo coltivare lo spazio della conoscenza e della consapevolezza.
La voce non è arte di pochi, è strumento espressivo di tutti.
In academy abbiamo un bellissimo contenuto di Francesco Nardi sulla differenza (abissale) tra giudicare e valutare, e penso che parte dei pregiudizi sui percorsi vocali nasca anche da li, dall’idea che saremo giudicati come buoni o cattivi nel far voce.
Il gap che si crea quando pretendiamo di divulgare sulla vocalità in termini di bello o brutto è esattamente ciò che impatta sulle fragilità altrui, contribuendo a costruire un muro divisorio fra chi se lo merita perché si fa il mazzo, chi ha solo talento e quindi non si deve impegnare e chi, invece, meglio si dia all’ippica. Tutte dinamiche che io non voglio alimentare.
Perché fai voce?
Fare Voce è Fare Anima, e l’anima, qualsiasi cosa sia, è legittimata a esistere così com’è, come ciascuno di noi.
Questo significa che il nostro modo di fare voce corrisponderà ai nostri obiettivi sul breve e lungo termine, ai nostri scopi più grandi e alle scelte che facciamo.
Vuoi essere apprezzata/o/ə per la tua voce?
Vuoi permettere a chi non può leggere di fruire un racconto?
Vuoi che le persone sposino la tua causa?
Vuoi vendere, convincere, guidare, accompagnare?
Bene, ogni risposta definisce un obiettivo e consente di costruire la migliore strategia per raggiungerlo.
Il tipo di relazione che vogliamo costruire attraverso la voce determina il tipo di musica che converrà usare.
Può sembrarti tutto estremamente freddo ma ti passo questo bigliettino sottobanco: tutta la nostra comunicazione è atta a soddisfare il bisogno che vive nell’obiettivo. Tutta.
Quindi, in qualche modo, stiamo sempre cercando di ottenere qualcosa quando creiamo comunicazione: essere apprezzati, stare meglio con noi stessi, essere di aiuto, convincere, persuadere, ingannare, manipolare, avere un feedback…
C’è un’intenzione dietro ogni nostro suono. Dunque la vera svolta sta nella consapevolezza delle nostre motivazioni interiori.
Dopodiché non “incanali” la voce per perseguire lo scopo, semplicemente succede che ci sia allinea interiormente e le tensioni si affievoliscono, la comunicazione è autentica,, e la musicalità del nostro parlato/narrato diventa coerente, dunque arriva.
Dunque, di nuovo, si smonta il suono per liberarlo, non lo si riveste di altro diverso da ciò che dovrebbe essere.
Facile? No.
Trasformativo? Parecchio.
Minimalismo, competenza ed efficacia.
Un trio di parole deliziose.
In questi giorni mi sono iscritta al gruppo Telegram di Alessandro Mazzù dedicato al minimalismo esistenziale e, ascoltando una sua nota vocale particolarmente ispiratrice sull’argomento “buddismo”, ho portato a terra un pensiero che svolazzava senza forma da un po’.
Seguo da diversi anni alcuni esponenti del minimalismo, come Youheum Son (Heal Your Living, che ora penso non sia più sui social) e poche altre persone che ne parlavano prima che divenisse “di moda”; senza volerlo, dal 2010 ho cominciato a diventare minimalista un pezzettino alla volta e per quanto non lo sia ancora in maniera effettiva, lo sto decisamente diventando (sono cose di cui non parlo spesso perché le vivo come un cambiamento progressivo, personale e inevitabile).
Così, quando mi sono ritrovata a sentir parlare di minimalismo Alessandro, che ho conosciuto per l’ambito podcast, mi si è accesa la lampadina: quanto minimalismo applichiamo alla professione, quando costruiamo competenze effettive?
La qualità della formazione non determina forse la capacità di saper scegliere la strumentazione, organizzare il contesto e gestire quel che abbiamo al meglio e con il “minimo necessario”?
Questa domanda mi vive in testa da quando, nel 2022, ho scelto di fare un corso di tecnico del suono per verticalizzarmi sulla post- produzione della voce: è possibile tirar fuori un buon prodotto audio anche con attrezzatura non super-pro ma con una discreta dose di competenza di editing?
Non sono certa che la risposta sia completa, e non sta a me dire se il mio sia o non sia un buon lavoro, ma di certo una rifrazione del concetto di minimalismo vive nel saper usare la voce al meglio al microfono e in performance; vive nella possibilità di far suonare bene una ripresa con un dinamico meno figo dello Shure SM7B; vive nel gesto di progettare bene un podcast e ottimizzare lo spazio-tempo di produzione.
Vive nella consapevolezza che possiamo fare tanto e bene con ciò che abbiamo, se sappiamo come farlo e, a volte, ci serve meno di quanto pensiamo.
Così, forse, il minimalismo si lega anche alla relazione che si crea in ambito professionale, dove la mia verticalità sposa la tua e insieme si crea; o forse si lega al concetto dei confini personali che possono essere rispettati e divenire punto d’incontro con l’altro.
O forse non si lega a niente di tutto ciò, ed è solo il volo pindarico del mio Coniglio (per chi non sa: vedi il mio team interiore in fondo a questa pagina)
Mi fai sapere cosa ne pensi?
Minimalismo ed efficacia
Sulla scia del ragionamento di sopra, parliamo di ambiente e di stanza.
Quando l’ambiente in cui registriamo ci restituisce un suono di buona qualità, risparmiamo tempo e bestemmie in post-produzione.
Al netto di un rapporto che può essere serenamente 5:1 (dove 5 sono le ore di lavoro necessarie per tirare fuori 1 ora di prodotto ascoltabile) ma può trasformarsi in un 2:1 a seguito di una serie di fattori ottimizzabili (come il lavoro vocale, il trattamento dell’ambiente e la post-produzione snella), non conviene forse ragionare prima sull’ambiente e poi sull’attrezzatura?
In realtà parliamo di organizzazione e di buon senso, quindi perché chiamare ancora una volta in causa la parla minimalismo?
Per la natura intrinseca della consapevolezza che si sviluppa quando si impara a ragionare sull’essenziale.
Potremmo parlare di strategia, forse, ma preferisco unire puntini nell’illusione che i miei siano ragionamenti sinettici e continuare a credere che spostare il mindset su ciò che davvero serve, su ciò che davvero conta e imparare a scindere il superfluo dal necessario, i desideri dai bisogni, sia un modo per ottimizzare anche l’aspetto lavorativo e professionale.
Nel mio caso specifico mi vivo il trittico minimalismo-consapevolezza-efficacia quando mi rendo conto di diversi fattori.
Uso della voce
Usare al meglio la voce, gestire le plosive, i picchi, essere consapevoli delle dinamiche, ascoltarsi e ribattere subito errori o rese poco efficaci, velocizza la post-produzione. Di parecchio. Fidati.
Post-produzione della voce
Sapere cosa fare quando si tocca la voce, o almeno cosa poter cercare di fare, in editing correttivo e stilistico, riesce a far suonare discretamente bene anche microfoni non particolarmente blasonati, riesce a salvare il salvabile in registrazioni non buone e regala soddisfazioni in registrazioni di buona qualità di partenza.
Economia vocal-professionale
Lo sviluppo di competenze specifiche e verticali nei nostri ambiti di appartenenza, ci rende in grado di allineare il fare all’essere, incarnare profondamente i valori di cui vestiamo il nostro ruolo professionale e riuscire ad essere il più efficaci possibile anche con poco margine di manovra.
E sono profondamente convinta che la professionalità di una persona si manifesti anche e soprattutto nelle piccole cose e negli spazi ristretti.
Sinestesie
Premessa: non amo il genere young-adult.
Fatico persino a comprenderne il senso ma tant’è.
Sto ascoltando su Audible, Fabbricante di Lacrime di Erin Doom letto da Federica Simonelli.
Ho deciso di condividere più spesso i miei ascolti su Audible, per meglio argomentare la lettura a voce alta e aiutarti a “rubare con le orecchie”.
La voce di Federica mi arriva color porpora, di morbido velluto e tiepida come una tazza di latte con il miele.
La sua lettura è fluida, particolarmente efficace nel ritmo e nella modulazione e riesce a rendere interessante questo tipo di libro anche a me, che notoriamente non amo le storie romantiche, specie fra teenager tormentati dagli occhi penetranti e i sorrisi sghembi.
Ne consiglio l’ascolto (anche se molto probabilmente non lo finirò nemmeno io perché Fede sei mitica ma 23 ore di ‘sta roba qui non le reggo) con l’obiettivo di sentire come il flusso narrativo porta e trasporta con facilità nelle immagini del racconto.
Posto che un libro scritto male non si legge bene, sicuramente la coloritura di questa voce regala sfumature preziose alla storia, rendendola una delizia per le persone particolarmente auditive come me.
Ascoltare per credere.
Se hai suggerimenti di ascolto da darmi, scrivimi pure perché li raccolgo volentieri!
Ci incontriamo?
Nei giorni del Pod a Milano, sarò in zona anche io, per i momenti di networking e di chiacchiera.
Se vieni, scrivimi su Instagram o su Telegram, così ci prendiamo un caffè insieme e ci conosciamo di persona :)
Circle Reading®
Il prossimo Circle Reading sarà il 23 giugno e le iscrizioni si sono aperte lunedì 5.
A breve arriverà una nuova serie di date e di eventi di Circle Reading, legate ad obiettivi didattici più specifici. Se vuoi rimanere aggiornata/o/ə puoi seguirmi sul profilo Instagram dedicato al CR oppure guardare il calendario sul sito ufficiale del progetto.
Baci & Abbracci
Al solito, se hai bisogno di me, ti serve la mia voce in prestito o vuoi lavorare con me sulla tua voce, mi trovi sul mio sito, su Instagram, su Telegram o su un treno tra Milano e Genova.
Cara Valentina,
appena letto la parte del Tuo messaggio dedicata al minimalismo, mi sono subito fiondato sui podcast di Alessandro Mazzù, che TI ringrazio di averci segnalato.
Dopo una ventina di brani, non posso che condividere appieno l'intero messaggio, in cui peraltro mi rispecchio da anni.
Tuttavia, il titolo "minimalismo esistenziale" mi sembra leggermente altisonante, in palese contraddizione col profilo minimalista illustrato. Ho infatti l'impressione che Alessandro si focalizzi quasi esclusivamente su un "minimalismo materiale". A parer mio, la dimensione esistenziale dovrebbe trascendere la sola materialità: pertanto, definirei "minimalismo esistenziale" un approccio che ci liberasse non solo dai beni materiali, ma anche e soprattutto dai supposti beni ultraterreni, da timori, angosce, speranze, certezze che ci vengono evocati dallo scorrere del tempo e dall'inevitabile, graduale avvicinamento dell'ultimo passo.
Ovviamente, può darsi che questa dimensione esistenziale emerga nell'ulteriore centinaio di podcast, ma un paio di incursioni che ho effettuato oltre il 120mo non hanno evidenziato tale "salto".